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metteva in rivoluzione la viuzza, se vedeva un altro viso
notissimo alla finestra di faccia, sorrideva come se fosse
stata vestita di seta anch essa. Chi sa quali povere gioie
sognava su quel davanzale, dietro quel basilico odoroso,
cogli occhi intenti in quell altra casa coronata di tralci di
vite? E il riso dei suoi occhi non sarebbe andato a finire
in lagrime amare, là, nella città grande, lontana dai sassi
che l avevano vista nascere e la conoscevano, se il suo
nonno non fosse morto all ospedale, e suo padre non si
fosse annegato, e tutta la sua famiglia non fosse stata di-
spersa da un colpo di vento che vi aveva soffiato sopra
un colpo di vento funesto, che avea trasportato uno dei
suoi fratelli fin nelle carceri di Pantelleria «nei guai!»
come dicono laggiù.
Miglior sorte toccò a quelli che morirono; a Lissa
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l uno, il più grande, quello che vi sembrava un David di
rame, ritto colla sua fiocina in pugno, e illuminato bru-
scamente dalla fiamma dell ellera. Grande e grosso
com era, si faceva di brace anch esso quando gli fissaste
in volto i vostri occhi arditi; nondimeno è morto da
buon marinaio, sulla verga di trinchetto, fermo al sartia-
me, levando in alto il berretto, e salutando un ultima
volta la bandiera col suo maschio e selvaggio grido
d isolano; l altro, quell uomo che sull isolotto non osava
toccarvi il piede per liberarlo dal lacciuolo teso ai coni-
gli, nel quale v eravate impigliata da stordita che siete, si
perdé in una fosca notte d inverno, solo, fra i cavalloni
scatenati, quando fra la barca e il lido, dove stavano ad
aspettarlo i suoi, andando di qua e di là come pazzi,
c erano sessanta miglia di tenebre e di tempesta. Voi
non avreste potuto immaginare di qual disperato e tetro
coraggio fosse capace per lottare contro tal morte
quell uomo che lasciavasi intimidire dal capolavoro del
vostro calzolaio.
Meglio per loro che son morti, e non «mangiano il pa-
ne del re», come quel poveretto che è rimasto a Pantel-
leria, o quell altro pane che mangia la sorella, e non van-
no attorno come la donna delle arance, a viver della
grazia di Dio una grazia assai magra ad Aci-Trezza.
Quelli almeno non hanno più bisogno di nulla! lo dis-
se anche il ragazzo dell ostessa, l ultima volta che andò
all ospedale per chieder del vecchio e portargli di nasco-
sto di quelle chiocciole stufate che son così buone a suc-
ciare per chi non ha più denti, e trovò il letto vuoto, col-
le coperte belle e distese, sicché sgattaiolando nella
corte, andò a piantarsi dinanzi a una porta tutta bran-
delli di cartacce, sbirciando dal buco della chiave una
gran sala vuota, sonora e fredda anche di estate, e
l estremità di una lunga tavola di marmo, su cui era but-
tato un lenzuolo, greve e rigido. E pensando che quelli
là almeno non avevano più bisogno di nulla, si mise a
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Giovanni Verga - Vita dei campi
succiare ad una ad una le chiocciole che non servivano
più, per passare il tempo.
Voi, stringendovi al petto il manicotto di volpe azzur-
ra, vi rammenterete con piacere che gli avete dato cento
lire, al povero vecchio.
Ora rimangono quei monellucci che vi scortavano co-
me sciacalli e assediavano le arance; rimangono a ronza-
re attorno alla mendica, e brancicarle le vesti come se ci
avesse sotto del pane, a raccattar torsi di cavolo, bucce
d arance e mozziconi di sigari, tutte quelle cose che si la-
sciano cadere per via, ma che pure devono avere ancora
qualche valore, poiché c è della povera gente che ci
campa su; ci campa anzi così bene, che quei pezzentelli
paffuti e affamati cresceranno in mezzo al fango e alla
polvere della strada, e si faranno grandi e grossi come il
loro babbo e come il loro nonno, e popoleranno Aci-
Trezza di altri pezzentelli, i quali tireranno allegramente
la vita coi denti più a lungo che potranno, come il vec-
chio nonno, senza desiderare altro, solo pregando Iddio
di chiudere gli occhi là dove li hanno aperti, in mano del
medico del paese che viene tutti i giorni sull asinello, co-
me Gesù, ad aiutare la buona gente che se ne va.
Insomma l ideale dell ostrica! direte voi. Pro-
prio l ideale dell ostrica! e noi non abbiamo altro moti-
vo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostri-
che anche noi .
Per altro il tenace attaccamento di quella povera gen-
te allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere,
mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa
rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa re-
ligione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla
casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano forse
pel quarto d ora cose serissime e rispettabilissime an-
ch esse.
Sembrami che le irrequietudini del pensiero vagabon-
do s addormenterebbero dolcemente nella pace serena
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Giovanni Verga - Vita dei campi
di quei sentimenti miti, semplici, che si succedono calmi
e inalterati di generazione in generazione. Sembrami
che potrei vedervi passare, al gran trotto dei vostri caval-
li, col tintinnìo allegro dei loro finimenti e salutarvi tran-
quillamente.
Forse perché ho troppo cercato di scorgere entro al
turbine che vi circonda e vi segue, mi è parso ora di leg-
gere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei deboli,
nell istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per
resistere alle tempeste della vita, e ho cercato di decifra-
re il dramma modesto e ignoto che deve aver sgominati
gli attori plebei che conoscemmo insieme. Un dramma
che qualche volta forse vi racconterò, e di cui parmi tut-
to il nodo debba consistere in ciò: che allorquando
uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più
egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza
dell ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di co-
noscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch egli è, se
lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui. E sotto questo
aspetto vedrete che il dramma non manca d interesse.
Per le ostriche l argomento più interessante deve esser
quello che tratta delle insidie del gambero, o del coltello
del palombaro che le stacca dallo scoglio.
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JELI IL PASTORE
Jeli, il guardiano di cavalli, aveva tredici anni quando
conobbe don Alfonso, il signorino; ma era così piccolo
che non arrivava alla pancia della Bianca, la vecchia giu-
menta che portava il campanaccio della mandra. Lo si
vedeva sempre di qua e di là, pei monti e nella pianura,
dove pascolavano le sue bestie, ritto ed immobile su
qualche greppo, o accoccolato su di un gran sasso. Il suo
amico don Alfonso, mentre era in villeggiatura, andava a
trovarlo tutti i giorni che Dio mandava a Tebidi, e divi-
devano fra di loro i buoni bocconi del padroncino, e il
pane d orzo del pastorello, o le frutta rubate al vicino.
Dapprincipio, Jeli dava dell eccellenza al signorino, co-
me si usa in Sicilia, ma dopo che si furono accapigliati
per bene, la loro amicizia fu stabilita solidamente. Jeli
insegnava al suo amico come si fa ad arrampicarsi sino ai
nidi delle gazze, sulle cime dei noci più alti del campani-
le di Licodia, a cogliere un passero a volo con una sassa-
ta, a montare correndo di salto sul dorso nudo delle giu-
mente ancora indomite, acciuffando per la criniera la
prima che passasse a tiro, senza lasciarsi sbigottire dai
nitriti di collera dei puledri indomiti, e dai loro salti di-
sperati. Ah! le belle scappate pei campi mietuti, colle
criniere al vento! i bei giorni d aprile, quando il vento
accavallava ad onde l erba verde, e le cavalle nitrivano
nei pascoli! i bei meriggi d estate, in cui la campagna,
bianchiccia, taceva, sotto il cielo fosco, e i grilli scop-
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