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che raspava contro la porta. Me ne andai sul balcone per non respirare l'aria
avvelenata della casa.
Il balcone si protendeva sul vuoto come un trampolino su una piscina. C'era un'afa
che pesava sugli alberi immobili del parco, stringeva la lastra blu del Po con le jole
grigie o azzurre dei canottieri e le arcate del ponte Principessa Isabella. Di sotto vidi
Carrano che si aggirava curvo per il viale, in cerca evidentemente della sua patente.
Gli gridai:
«Signore! Signor Carrano!».
Ma ho sempre avuto una voce bassa, non so strillare, le parole mi cadono a poca
distanza come ghiaia lanciata dalla mano di un bambino. Volevo dirgli che avevo io il
suo documento, ma lui nemmeno si girò. Allora restai in silenzio a guardarlo dal
quinto piano, magro ma largo di spalle, i capelli grigi e fitti. Sentivo crescermi dentro
un'ostilità nei suoi confronti tanto più accanita, quanto più la sentivo irragionevole.
Chissà quali segreti di uomo solo aveva, l'ossessione maschile del sesso forse, il culto
fino a tarda età del cazzo. Anche lui sicuramente non vedeva più in là del suo sempre
più miserabile fiotto di sperma, era contento solo quando poteva verificare che gli si
rizzava ancora, come le foglie morenti di una pianta riarsa che riceve acqua. Rozzo
coi corpi di donna che gli capitavano, frettoloso, sporco, aveva certamente come
unico obiettivo segnare punti come in un poligono, affondare dentro una fica rossa
come in un pensiero fisso coronato da cerchi concentrici. Meglio se la macchia dei
peli è giovane e lucida, ah la virtù di un culo sodo. Così pensava, quei pensieri gli
attribuii, fui attraversata da folgorazioni vivide di rabbia. Mi riscossi solo quando,
guardando di sotto, mi resi conto che la figura sottile di Carrano non tagliava più il
viale con la sua lama scura.
Tornai dentro, l'odore di insetticida si era attenuato. Spazzai via le tracce nere delle
formiche morte, lavai di nuovo con foga, a labbra strette, i pavimenti, andai a liberare
Otto che guaiva disperato. Ma scoprii con disgusto che era la camera dei bambini,
ora, a essere invasa. Dalle tessere mal connesse del vecchio parquet spuntavano in
fila, con determinatissima energia, pattuglie nere in fuga disperata.
Mi rimisi al lavoro, non potevo fare altro, ma svogliatamente ormai, avvilita da
un'impressione di ineluttabilità, tanto più sgradevole per me, quanto più quel
formicolio mi pareva una richiesta di vita attiva e intensa che non conosce ostacolo
ma anzi, a ogni inceppo, sfodera una cocciuta, crudele volontà di fare a modo suo.
Dopo aver diffuso insetticida anche in quella stanza, misi il guinzaglio a Otto e lasciai
che mi tirasse giù per le scale, di rampa in rampa, ansimando.
11.
Il cane avanzava per il viale, infastidito dal freno che gli imponevo, dalla morsa del
collare. Passai davanti al moncone di sommergibile verde che piaceva tanto a Gianni,
mi infilai nel tunnel pieno di scritte oscene, salii verso il boschetto di pini. A quell'ora
le madri - folti gruppi di madri chiacchierine - sostavano all'ombra degli alberi,
chiuse nel cerchio delle carrozzine come coloni durante una sosta in un film western,
o sorvegliavano bambini di pochi anni che vociavano più in là giocando a palla. La
gran parte non amava i cani in libertà. Proiettavano i loro spaventi sulle bestie,
temevano che azzannassero i bambini o imbrattassero gli spazi dei giochi.
Il lupo soffriva, voleva correre e giocare, ma non sapevo che farci. Mi sentivo coi
nervi a fior di pelle e volevo evitare occasioni di conflitto. Meglio trattenere Otto con
forti strattoni che litigare.
Mi addentrai nel boschetto di pini sperando che lì non ci fossero piantagrane. Il cane
ora fiutava il terreno fremendo. Mi ero sempre occupata poco di lui, ma gli ero
affezionata. Anche lui mi amava, ma senza aspettarsi granché. Era da Mario che gli
era sempre venuto sostentamento, gioco, corse all'aria aperta. E ora che mio marito
era sparito, Otto da bestia di buon carattere si adattava alla sua assenza con qualche
malinconia e latrati di fastidio per le abitudini consolidate che non rispettavo. Per
esempio Mario lo avrebbe sicuramente sguinzagliato da un pezzo, appena oltre il
tunnel, e intanto avrebbe attaccato bottone con le signore alle panchine per rabbonirle
e ribadire che il lupo era di buona indole, amico dei bambini. Io invece persino nel
boschetto volli essere sicura che non facesse arrabbiare nessuno e solo allora lo
liberai. Diventò pazzo di gioia, filò veloce di qua e di là.
Raccolsi allora un lungo ramo flessibile e lo provai nell'aria, prima svogliatamente,
poi con decisione. Mi piaceva il sibilo, era un gioco che facevo da bambina. Una
volta mi trovavo nel cortile di casa, avevo trovato un ramo sottile di quel tipo e
tagliavo l'aria facendola urlare. Fu allora che sentii dire che la nostra vicina, non
essendo riuscita col veleno, si era annegata dalle parti di Capo Miseno. La voce [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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